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Invito all’ascolto
Blues Image – Open – Atco/Repertoire – 1970
Ci sono dischi che rimangono stampati nella memoria, nonostante che il tempo, inesorabilmente, passi. E di tempo ne è passato, da quando, nel 1970, i Blues Image incisero il loro secondo esordio discografico. Questo è un album che, insieme con pochi altri, fa parte di quella decina di dischi che compongono la mia hit parade interiore.
Il disco in vinile era già introvabile all’epoca, per la solita storia che le case discografiche usavano pilotare il mercato locale con la tattica di non pubblicare (o di distribuirne pochissime copie, importate direttamente dalle case madri, in genere americane), rendendone la reperibilità, di fatto, estremamente difficoltosa.
I Blues Image, sostanzialmente, pubblicarono solo tre album, prima che il gruppo si disgregasse e svanisse nelle ondate del tempo. Se alla considerazione numerica si aggiunge il fatto che la loro popolarità restò ristretta nella misuratissima cerchia della loro platea di affezionati, arriviamo a comprendere come i loro dischi, nel giro di pochi anni, divennero vero e proprio oggetti di culto musicale, acquistabili – per corrispondenza ed a suon di sventagliate di dollaroni, presso rivenditori americani ed inglesi – solo da collezionisti irriducibili e danarosi. Non era il mio caso. Per oltre venti anni, mi sono accontentato di una copia in vinile di seconda mano.
L’album fu prodotto in origine dalla Atco, una sussidiaria della Atlantic Records. Nel 1993 la Repertoire (una etichetta tedesca che ha ripubblicato, con mio sommo piacere, diversi album fondamentali del periodo sessanta e settanta) porta su compact disc anche “Open” dei Blues Image, rendendo giustizia alle tante voci che, ovunque nel mondo (e non è un’iperbole: provate a guardare su Internet quanta messaggeria c’è a proposito!) chiedevano di poter avere la possibilità di ascoltarli.
Blues Image: un gruppo sconosciuto ai più, una meteora nel ricco panorama musicale rock-blues dell’epoca. La loro catalogazione musicale nel genere Pop/Rock/Blues è veramente restrittiva. Nella seconda metà degli anni sessanta, i gruppi che rientravano in tale categoria erano veramente tanti e, seppure con le varie sfumature stilistiche, ciascuno di loro avesse creato una propria identità musicale, I Blues Image devono essere collocati in una categoria a parte. La loro musica è contaminazione pura, di uno stato geniale di creatività, che ha fuso in sé il Rock ed il Blues, tingendoli con il colore irruente e ritmico delle sonorità latine e stravolgendoli, nelle sonorità e nei tempi, con influenze avanguardiste di Jazz e di Classico.
Il gruppo divenne famoso per il brano, inserito in questo album, “Ride Captain Ride” che vendette, come singolo, oltre un milione di copie. Ma, date retta a me, quello è il brano più easy dell’album.
Formatosi nel 1966 a Tampa, nella caliente Florida, il gruppo era composto dallo straordinario Mike Pinera (chitarra e voce), dall’estroso Joe Lala (Batteria) e dall’incontenibile Manuel Bertematti (Percussioni). Ad essi si unirono Malcom Jones (Basso) e Frank ‘Skip’ Conte (Tastiere).
Trasferitisi a New York nel 1968, aprirono un club tutto loro, chiamato ‘The Image’. Divennero presto famosi come una delle più sanguigne band di Blues/Rock, che dava il meglio di sé in esibizioni dal vivo travolgenti, in cui irrompeva tutta la loro passionalità di tinta latina.
Preparatevi ad ascoltare delle percussioni ruba-fiato, una chitarra (magnifica, insuperata Fender Stratocaster) che è una strappa-pelle, un organo Hammond senza paragoni (provate a far passare il segnale dell’Hammond in un pedale wah-wah e poi nel Leslie!). E se non basta, la voce di Mike Pinera che esce imperiosa, profonda, calda, determinata.
Un brano che da solo vale l’album: ‘Clean Love’, che, nei suoi quasi otto minuti, trasforma la lenta passeggiata iniziale, lungo i classici giardini del Blues, in una spericolatissima avventura nella foresta lussureggiante dell’improvvisazione.
Che dirvi ancora? Potrei consigliarvi, alla fine del disco, una bella doccia fredda, per sbollentare todo el calor che avrete accumulato durante l’ascolto.
Recensione di Gaetano Toldonato
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